La guerra di Siria non è finita.Vittime anche in Sicilia

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    Come si vende una penna? Non magnificandone le qualità, né il valore d'uso. Un accorto venditore sa che basta far credere al compratore che gli serva. E un modo per farglielo credere si trova sempre

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    La guerra in Siria non finisce,vittime anche in Sicilia




    Novantaquattro morti, 264 dispersi, ma sono cifre provvisorie. Una tragedia immane, sconvolgente. Muoiono nel loro Paese, vittime della guerra. Muoiono in mare o nel deserto, per sfuggire dalla guerra. Muoiono soprattutto nel Canale di Sicilia – 25 mila finora – sotto il nostro balcone di casa.

    È il conflitto armato, non il barcone stracarico di uomini donne e bambini, che uccide innocenti e provoca tragedie sconvolgenti, come questa, al largo dell’Isola dei Conigli, nel mare di Lampedusa. Alcuni sciacalli, rozzi e instupiditi dal razzismo, spargono veleni in queste ore, invece che sbracciarsi, ovunque si trovino, e fare quel che è necessario al fine di fermare i mercanti di morte che prosperano sull’altra sponda del Mediterraneo. I leghisti attribuiscono la responsabilità morale dell’ecatombe – – al presidente della Camera, Boldrini, ed al ministro per l’Integrazione, Kjenge. L’urlo demenziale di uomini rozzi, lo starnazzare di avvoltoi, incapaci di compassione.

    L’incidente del barcone nel mare di Lampedusa è solo la causa finale della morte degli sventurati. Sono la guerra, la fame, la tirannia, le tremende ingiustizie di questo mondo la vera causa delle tragedie. I siriani morti in mare sono vittime di guerra, non dell’incendio scoppiato nel barcone.

    Sentiamo una grande rabbia dentro. La mobilitazione contro la guerra in Siria è in pausa. Partite le navi da guerra Usa dal mare siriano, la pratica è stata archiviata, gli appelli alla pace sono finiti, è sceso il silenzio sulle vittime della guerra civile in Siria e nel canale di Sicilia.

    Sulle coste libiche ci sono centinaia, forse migliaia di profughi che attendono di salire sulla carretta che li dovrebbe portare in Europa. Vengono dall’Eritrea, la Somalia, l’Egitto, la Siria, ed hanno percorso migliaia di chilometri, attraversando il deserto e subendo le vessazioni di predoni e bande di taglieggiatori. Niente e nessuno può impedire loro di continuare il viaggio, perché alle loro spalle non hanno nulla. Ciò che hanno di prezioso – i figli – li portano con sé. Affronteranno così pericoli mortali anche i bambini, perché ciò che lasciano non è vita, ma stenti, ansie, tormenti. Salendo sulla carretta del mare hanno una possibilità, almeno una, di futuro.

    I soccorritori di Lampedusa hanno raccolti 94 cadaveri: uomini, donne, bambini. Si calcolano 162 dispersi, che presto potrebbero allungare la lista dei morti. Ne hanno tratti in salvo 150, ma nessuno ha voglia di gioirne. Li hanno strappati al mare mentre sulla carretta, in fiamme a causa di un’imprudenza (hanno bruciato lenzuola per segnalare la loro presenza e dare l’allarme), si udivano grida disperate.

    Il sindaco di Lampedusa ha raccontato in lacrime alla radio la scena apocalittica che aveva davanti agli occhi: il mare affollato di cadaveri. Ciò che si riesce a fare per i sopravvissuti – ed è tantissimo – non ripaga di nulla: niente è peggio dell’impotenza, della “prevedibile” fatalità; niente sgomenta di più che vedere morire esseri umani senza potere fare nulla.

    L’immagine di quei tredici cadaveri allineati sulla spiaggia di Scicli coperti da lenzuola bianche è ancora viva nella testa e nel cuore di tutti. Anche loro sono annegati a pochi metri dalla riva, costretti a buttarsi in acqua.

    Non è finita, purtroppo. Ci saranno altre tragedie, l’ecatombe dell’Isola dei Conigli non sarà l’ultima. Avremo altri motivi per provare rammarico, dispiacere, tristezza per quei cadaveri di sconosciuti venuti a morire a casa nostra. Ascolteremo auspici, appelli, manifestazioni di volontà sull’onda di ogni tragedia. Durerà lo spazio di un mattino, il tempo che c’è fra una disgrazia e l’altra.

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